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Rifiuti a Torino: sempre meno e sempre più cari. Confesercenti: “Situazione insostenibile, si riveda il sistema di calcolo e si ridiscuta il contratto Amiat”

10 Novembre 2016

Torino, 9 novembre 2016 – Sono sempre meno e costano sempre di più: non si tratta di diamanti o di oro, ma di rifiuti, come stanno sperimentando a proprie spese – è proprio il caso di dirlo – ambulanti e titolari di pubblici esercizi. Si tratta di due categorie che nel giro di pochi anni hanno visto aumentare sensibilmente la tassa di smaltimento, a fronte di una produzione/conferimento di rifiuti in netto calo.

È quanto emerge da una indagine condotta da Confesercenti sull’andamento delle tariffe dello smaltimento rifiuti fra il 2008 e il 2016 a Torino. Per gli ambulanti alimentari si registra un aumento del 34,6%, per i ristoranti del 27,3%, per i bar del 36,7%; in compenso, i rifiuti conferiti sono in diminuzione (dati Ipla): -37% e -13% rispettivamente per ristoranti e bar; aumentano del 2% sui mercati, ma si tratta di una percentuale ben più bassa dell’aumento della tassa rifiuti sopportata dagli ambulanti.

 

Ecco tre esempi di costo annuo per tre tipologie di impresa

Categoria                                           Tassa 2008           Tassa 2016           Variazione 2016/2008  Conferimenti 2015/2004

– Banco alimentare 10mq – 6 posti     1979                        3027                     +1048 (+34,6%)              +2%

– Ristorante 200 mq                            5198                       7146                      +1948 (+27,2%)            -37%

– Bar 50 mq                                           568                         898                      +330 (+36,7%)             -13%

 

A fronte di tali aumenti, l’inflazione 2008/2016 è stata dell’8,74% (dati Istat); inoltre, nello stesso periodo l’addizionale provinciale sulla tassa è diminuita dal 15% al 5%. A questo si aggiunga che nel caso delle attività in sede fissa (ristoranti e bar) la tassa rifiuti si calcola sull’intera superficie e non solo su quella aperta al pubblico: in media lo scarto fra le due aree è del 30/40%.

“Si tratta – commenta Giancarlo Banchieri, presidente di Confesercenti – di una situazione sempre più insostenibile, tanto più a fronte di una persistente crisi dei consumi che ha notevolmente ridotto gli affari delle aziende, come dimostra, d’altra parte, la diminuzione dei rifiuti. L’attuale assetto non può essere l’unica ‘variabile indipendente’: Confesercenti chiede che sia rivisto l’intero meccanismo dei costi su rinnovate basi di economicità ed efficienza, anche attraverso la ridiscussione del contratto di servizio con Amiat. In questi anni Amiat ha conseguito utili costanti e notevoli (arrotodando, sono passati dai 4 milioni di euro del 2013 ai 13 del 2015): dato che il contratto di servizio si basa su costi indicati dalla stessa Amiat, evidentemente tali costi sono stati parametrati in modo “generoso” per l’azienda, per di più in un mercato protetto; dunque, mentre Amiat guadagna sempre di più, le imprese debbono sopportare tariffe esorbitanti e in continuo aumento. Ma proprio questi utili dimostrano che le tariffe possono esser riviste al ribasso: Amiat non agisce sul libero mercato ed è uno strumento attraverso cui l’ente pubblico garantisce un servizio. Se, invece, si ritiene che debba prevalere una logica puramente aziendalistica, allora l’Amiat si misuri con il mercato, senza rendite di posizione. Inoltre, ci sarebbe molto da ridire anche sul servizio offerto. Due soli esempi: le macchine che dovrebbero svuotare i bidoni del vetro sono troppo grandi per entrare in molte vie del centro e quindi l’utente è costretto a provvedere da sé; spesso, in occasioni di festività, ferie o malattia degli addetti, il ‘giro’ viene saltato: ma è accettabile tutto ciò a fronte di un’azienda con un notevolissimo numero di addetti?

“I dati dimostrano un’altra cosa: il principio sul quale si dovrebbe basare la tariffazione (“chi più inquina più paga”) è stato completamente disatteso: i commercianti hanno inquinato di meno, ma hanno pagato di più. Tale principio deve invece trovare pratica applicazione, sia per ragioni di equità, sia per ragioni di migliore efficienza del sistema. Riteniamo dunque – conclude Banchieri – che il sistema vada profondamente rivisto e su questo chiediamo un impegno preciso dell’amministrazione comunale, alla quale nell’immediato offriamo tre proposte”.

RIFIUTI / LE PROPOSTE DI CONFESERCENTI

Costo del servizio basato sull’effettiva produzione – Per la ristorazione e il settore degli alimentari si potrebbe pensare – in via sperimentale – a una quota fissa uguale per tutti e a una quota variabile legata all’effettivo volume dei rifiuti prodotti, ad esempio a peso o contando di numero degli svuotamenti dei cassonetti. Si innescherebbe così anche un meccanismo di responsabilizzazione e premialità per gli operatori. Un simile modello è già operante a Settimo Torinese, con piena soddisfazione degli operatori che hanno visto ridotto il peso della tassa fino a un terzo.

Mercati – Sulla base del principio “chi più inquina più paga”, bisogna differenziare meglio i settori merceologici sulla base dell’effettiva produzione di rifiuti: non è opportuno – per limitarsi a un solo esempio – che chi vende pane sopporti le stesse tariffe di chi vende frutta  verdura.

Somministrazione: rivedere le superfici su cui calcolare la tassa – Per le attività di somministrazione è necessario escludere dal conteggio tutte quelle superfici non destinate direttamente all’attività, come magazzini, laboratori, ecc. Oggi, invece, si prevede un unico computo della superficie che non tiene in considerazione le diverse destinazioni d’uso dei locali interni: di fatto, non esiste differenziazione tra cucine, magazzini, ingressi. Si proceda dunque a una revisione di tale principio e si consideri esclusivamente ai fini della tariffazione la superficie effettivamente destinata alla somministrazione.